Nel 1920, negli ultimi paragrafi di «L’estremismo, malattia infantile del comunismo», Lenin sottolineava che, una volta conquistate le avanguardie rivoluzionarie ai principi del marxismo rivoluzionario, avevano ancora molta strada da fare prima di essere capaci di captare e guidare le grandi masse proletarie nella loro lotta per il potere dei consigli dei lavoratori e la dittatura del proletariato. Lenin metteva in guardia contro l’idea semplicistica di credere che questa conquista potesse essere raggiunta attraverso panacee dottrinali, «secondo regole di lotta stereotipate, meccanicamente equiparate e con identiche tattiche«, senza tener conto delle differenze nelle situazioni nazionali e statali, tra i popoli e i paesi, e affermava che l’unità della tattica internazionale del movimento rivoluzionario non implicava in alcun modo fare astrazione da queste particolarità.
Lo studio dettagliato della lotta di classe e delle situazioni presenti in Italia e in Germania negli anni 1914-1923 ci permette di intravedere proprio questo: (a) le difficoltà incontrate nella formazione dei partiti comunisti da una moltitudine eterogenea di correnti attratte dal faro della Rivoluzione d’Ottobre 1917; (b) l’enorme complessità e varietà di circostanze storiche che le avanguardie rivoluzionarie hanno dovuto affrontare; e (c) la diversità dei problemi a cui queste avanguardie hanno dovuto rispondere, strategicamente e tatticamente, per poter riuscire a conquistare quell’influenza determinante tra le masse lavoratrici che è una condizione indispensabile della rivoluzione socialista.
Riassumiamo la situazione in quel momento.
In mezzo agli orrori e alle sofferenze subite dal proletariato europeo durante la prima guerra mondiale (1914-1918), la Rivoluzione russa dell’Ottobre 1917 – guidata dal Partito bolscevico – proclamò la sua volontà di porre fine alla guerra, risvegliando un enorme entusiasmo e una potente ondata rivoluzionaria tra le masse lavoratrici.
Nel 1919, la neonata Internazionale comunista aveva sperato a breve e a medio termine la vittoria della rivoluzione proletaria in Europa. La lotta del proletariato europeo ha raggiunto la sua fase più acuta, con insurrezioni e guerre civili, in Ungheria, Germania e Italia. Tuttavia, la marea rivoluzionaria del primo dopoguerra si è conclusa con tre grandi fallimenti.
L’obiettivo principale di questo lavoro è quello di spiegare come si è sviluppata la lotta di classe in questi due ultimi paesi e quali sono state le cause che hanno determinato la vittoria della controrivoluzione borghese.
Per la prima – e, ancora oggi, unica – volta nella storia, nell’ottobre 1917, il potere fu conquistato da un partito proletario apertamente anticapitalista e marxista.
Il marxismo ha permesso ai partiti rivoluzionari della classe operaia di stabilire i principi e il programma della loro emancipazione dal capitalismo. Questi furono enunciati per la prima volta nel Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels nel 1848, e sviluppati e difesi da entrambi nei decenni successivi, prima nell’Associazione Internazionale dei Lavoratori (Prima Internazionale, 1864), e poi – dopo la morte di Marx nel 1883 – da Engels nell’Internazionale Socialista fondata nel 1889.
Dopo il fallimento della Seconda Internazionale nel 1914 a seguito dell’adesione della stragrande maggioranza dei partiti socialisti alle politiche imperialiste delle proprie borghesie, il marxismo rivoluzionario si incarna, nella sua forma più compiuta, nella lotta teorica, programmatica, di principio e tattica del partito bolscevico (rappresentato soprattutto dall’opera di Lenin). La vittoria della Rivoluzione d’Ottobre 1917 rese possibile una nuova riorganizzazione del movimento proletario intorno alla Terza Internazionale. Quest’ultimo è stato fondato sulle restaurate fondazioni marxiste enunciate nei suoi primi tre congressi (1919, 1920 e 1921), integrando le esperienze della guerra imperialista e della Rivoluzione russa.
Così come le lezioni della sconfitta della Comune di Parigi (1871) furono essenziali per la vittoria dell’Ottobre 1917, le lezioni delle sconfitte del proletariato italiano e tedesco sono condizioni necessarie, anche se non sufficienti, per la preparazione di una futura rivoluzione vittoriosa. Da questo punto di vista, sarà essenziale la comprensione delle dinamiche dei fattori che convergevano per generare quei fallimenti, che vanno dalle strategie politiche delle classi dirigenti e dal peso della socialdemocrazia nel movimento operaio, alla storia stessa delle correnti del comunismo occidentale che hanno aderito alla Terza Internazionale e alle tattiche adottate dall’Internazionale e dai suoi partiti negli anni 1921-1926.
Sebbene la formulazione programmatica e di principio dell’Internazionale comunista sia stata molto chiarificatrice, la questione tattica del rapporto dei partiti comunisti con i partiti socialdemocratici e centristi nell’area del capitalismo sviluppato (Germania, Francia, Italia, …) ha generato grandi polemiche e divergenze nei partiti comunisti e nell’Internazionale. Ci riferiamo alle questioni del Fronte Unico, del Governo Operario e del Governo Operaio e Contadino.
Questi problemi hanno avuto un ruolo determinante nella storia del Partito Comunista Tedesco (KPD) e nel suo fiasco dell’Ottobre 1923, che può essere considerato a posteriori come la sconfitta decisiva dell’ondata rivoluzionaria europea del dopoguerra iniziata con la Rivoluzione d’Ottobre.
Queste stesse questioni hanno influenzato le vicende politiche del Partito Comunista Italiano (CPDI) durante i suoi primi due anni di vita, e la sconfitta del proletariato italiano come risultato dell’offensiva convergente della democrazia e del fascismo.
Le difficoltà incontrate dai partiti comunisti occidentali nel condurre l’azione rivoluzionaria, le divergenze interne e le sconfitte subite, generarono grandi tensioni nell’Internazionale comunista. Dal suo V Congresso (1924), la sua dirigenza cercò di superarli con misure burocratiche, organizzative e disciplinari (con la cosiddetta politica di «bolscevizzazione» dei partiti comunisti) che non fecero altro che accentuare le loro crisi interne.
Si arriva così all’anno 1926, quando le crisi dei partiti comunisti occidentali si coniugano con la crisi decisiva del Partito bolscevico che porta alla vittoria dello stalinismo con l’adozione della «teoria del socialismo in un solo paese«, indice accurato del processo della controrivoluzione russa in corso e della degenerazione dell’Internazionale.
È in questo contesto che le complesse polemiche dell’epoca sulle questioni tattiche e organizzative assumono particolare rilevanza. Uno degli obiettivi di questo studio è quello di evidenziare i termini, i condizionamenti storici, i presupposti e la portata di queste controversie.
Nell’arco storico dal 1919 al 1926, l’Ottobre 1923 appare come un punto di inversione della rivoluzione mondiale. La vittoria del proletariato tedesco avrebbe creato condizioni favorevoli per sconvolgere i rapporti di forza tra il proletariato europeo e l’imperialismo, per contrastare le forze controrivoluzionarie che si agitavano nel sottosuolo sociale russo e per dare un formidabile impulso alla lotta del proletariato internazionale.
Per comprendere gli sviluppi che hanno determinato il corso di quei giganteschi e drammatici eventi, dovremo delineare il loro contesto storico e fare una rassegna del movimento socialista italiano e tedesco, della lotta di classe in questi due Paesi, dei processi di fondazione dei partiti comunisti e dell’azione dell’Internazionale comunista.
Un secondo obiettivo centrale di quest’opera è la critica marxista della storia politica dell’Internazionale comunista focalizzata sulla lotta di classe in Germania e in Italia nel periodo 1914-1923. Sebbene vi siano opere di storici universitari in italiano e tedesco che forniscono informazioni molto utili su questi eventi (e la maggior parte di esse non sono tradotte in spagnolo), gli scritti di critica politica su questo argomento sono naturalmente influenzati dalle concezioni ideologiche dei loro autori1.
Se prendiamo il caso dell’Italia, la critica politica di questo periodo è stata iscritta, sia nella tradizione ufficiale del PCdI legata alla traiettoria dello stalinismo2 e del post-stalinismo3, sia nella tradizione della Sinistra Comunista Italiana («Bordiguista»), sia in una nebulosa di storici che hanno rivalutato, attraverso l’opera e l’azione di Amadeo Bordiga, il suo contributo al movimento operaio rivoluzionario.
Gli esponenti della tradizione ufficiale del PCdI hanno fatto una lettura della sua storia alla luce della sua stessa traiettoria a partire dalla sua partecipazione attiva al ristabilimento della democrazia borghese dopo la seconda guerra mondiale4. La loro condanna dell’azione di questo Partito negli anni 1921-1923, accusato di non aver messo la difesa della democrazia al centro della sua lotta antifascista, è influenzata e squalificata dalla sua adesione ad obiettivi programmatici in aperta opposizione ai primi cinque Congressi dell’Internazionale Comunista.
Sulla base dei fatti storici di quel periodo, il nostro lavoro rende evidente la mancanza di fattibilità dei tentativi che cercavano di fare leva sulla democrazia borghese per contrastare l’ascesa e la vittoria del fascismo (capitoli VI, VII e VIII).
Dagli anni Settanta, diversi storici hanno pubblicato studi sui primi anni del PCdI, sulla Sinistra Comunista Italiana in generale, e in particolare su Amadeo Bordiga, il più influente esponente di questa corrente negli anni Venti e il massimo dirigente del PCdI dalla sua fondazione nel gennaio 1921 alla metà del 19235.
La maggioranza di questi studi si concentra sull’analisi delle posizioni di Bordiga nel contesto delle controversie all’interno della Socialdemocrazia italiana (fino al 1920), nel PCdI e nell’Internazionale Comunista (dal 1919 in poi), e sugli effetti supposti o reali – positivi o negativi – che le sue posizioni possono aver avuto sull’azione del comunismo in Italia. Sebbene alcune di esse forniscano informazioni utili per un’analisi critica della storia dell’Internazionale, sono ben lungi da fornire un quadro esaustivo della stessa perché si limitano principalmente a trattare questioni ideologiche. Pochi studi forniscono informazioni storiche precise per confrontare le conseguenze concrete delle posizioni della Sinistra italiana nella lotta di classe6, e questi studi sono fondamentalmente focalizzati sull’Italia o su aspetti parziali della storia dell’Internazionale.
Ma la portata delle lotte di tendenza nell’Internazionale comunista non era limitata a un solo paese, ma a particolari aree geo-storiche, in particolare l’intera Europa occidentale. Pertanto, la validità delle posizioni difese dai suoi protagonisti- antagonisti va valutata all’interno di questo contesto generale.
Nel caso della Germania, il libro di riferimento di questo periodo è stato quello dello storico di origine trotskista Pierre Broué7. La sua opera, indispensabile e ricca di documentazione, espone nel suo capitolo XLIII le falsificazioni dello stalinismo sulla storia politica del comunismo tedesco; e nei suoi capitoli finali (XLV, XLVI e XLVII) sviluppa il proprio bilancio critico di quest’ultimo e dell’intervento dell’Internazionale in Germania dal 1920 al 19238.
La valutazione di Broué si riassume sostanzialmente nel fare proprie le posizioni di Paul Levi9 e nel fare di lui il solo dirigente che avrebbe potuto evitare il fallimento del comunismo occidentale10, e nel travolgere Karl Radek (rappresentante dell’Internazionale presso il Partito comunista tedesco) per non aver potuto «dare ai quadri della KPD ciò che mancava loro: una profonda sicurezza politica basata su un’analisi costantemente messa in discussione alla luce dell’evoluzione della situazione, della continuità di azione e della fermezza nella difesa delle proprie opinioni, dell’attaccamento ai principi e del rifiuto del dogmatismo»11.
Broué non cessa di alludere alle debolezze del comunismo tedesco (combattuto tra una sinistra estrema «esperta nella manipolazione della frase rivoluzionaria» e una corrente di destra accusata di essere composta da «incapaci di pensare da soli e sempre con l’orecchio aperto verso Mosca, da cui provengono opinioni che considerano la legge dei profeti”12), così come alla mancanza di omogeneità della stessa dirigenza dell’Internazionale e alle sue difficoltà nell’orientare l’azione dei comunisti tedeschi. Purtroppo Broué finisce per fare di grandi questioni storiche una questione di uomini, di nomi e di disfunzioni organizzative, il che è assolutamente inaccettabile dal punto di vista marxista.
Il fallimento definitivo del comunismo tedesco non può essere spiegato dalle carenze di Tizio, Caio e Sempronio. Se i ruoli dei singoli e delle organizzazioni possono puntualmente avere un peso importante – e persino decisivo – in una precisa circostanza storica (come è stato il caso degli interventi di Lenin nel Partito bolscevico nell’aprile e nell’ottobre 1917), da soli non sono in grado di spiegare il ruolo di un partito nella lotta di classe in un periodo storico come quello della Germania dal 1918 al 192313. Queste carenze e fallimenti sono stati il risultato delle politiche dei suoi protagonisti. Nonostante l’ampiezza del suo lavoro, Broué non è stato in grado di individuare nelle politiche della KPD le cause del fiasco della strategia dell’Internazionale nella Rivoluzione tedesca14. Queste cause sono evidenziate nei capitoli IX, X e XI del nostro lavoro pubblicato.
Un posto a parte nella storiografia è occupato dagli scritti di Corrado Basile sulla Germania del 192315. Questo autore diagnostica la causa del fallimento della Rivoluzione tedesca nel fatto che né l’Internazionale né il Partito comunista tedesco hanno insistito maggiormente sulla politica di conquista delle masse nazionaliste e fasciste della piccola borghesia in nome della difesa degli interessi nazionali della Germania travolta dal Trattato di Versailles16.
Una tale interpretazione del fiasco tedesco è confutata nel capitolo X di questo lavoro.
Amadeo Bordiga ha pubblicato in forma anonima nel 1964 il primo volume della «Storia della Sinistra Comunista». I suoi sostenitori hanno esteso questo racconto storico in altri quattro volumi17, pretendendo di coprire (fino ad oggi) la storia della Sinistra Comunista e della Terza Internazionale fino al febbraio 1923. Il deficit fondamentale di queste pubblicazioni è stato il loro carattere apologetico, acritico e indiscriminato di tutto ciò che è stato fatto, sollevato e pubblicato dalla direzione del Partito comunista nel 1921-1923, e anche di tutto ciò che si riferisce all’azione di Bordiga e del suo movimento dal 1912 al 1921.
Il lettore troverà nel corso del lavoro che pubblichiamo un’analisi dettagliata dei contributi, delle lacune, delle carenze e degli errori di questa tendenza del comunismo occidentale negli anni 1912-1924.
Oltre alle conseguenze catastrofiche del fiasco dell’ottobre 1923, le tattiche nebulose adottate dall’Internazionale Comunista al suo Quarto Congresso (Fronte Unico, Governo dei Lavoratori e Governo dei Lavoratori e dei Contadini) hanno fortemente influenzato e continuano a influenzare le posizioni politiche degli attuali movimenti trotskisti, e hanno suscitato e continuano a suscitare la più decisa opposizione delle tendenze «infantili» comuniste di estrema sinistra (che Lenin chiamava «dottrinarie»).
L’analisi dettagliata di questi orientamenti tattici si trova nei capitoli VII e IX del nostro lavoro.
Nell’attuale situazione storica, dopo quasi un secolo di controrivoluzione trionfante, il compito rivoluzionario principale è quello di conquistare sezioni dell’avanguardia del proletariato ai principi e agli obiettivi programmatici del marxismo rivoluzionario. Lo scopo ultimo dell’opera qui pubblicata sarà pienamente raggiunto se riuscirà a contribuire a questa decantazione delle forze d’avanguardia, e ad evitare sia le pendenze dell’opportunismo (che oggi fiorisce sotto molteplici tendenze pseudo-marxiste) sia quelle del dottrinarismo semplicistico che è sempre un falso sotterfugio contro le deviazioni opportuniste.
Carlos N. Svidler, giugno 2019
Ringraziamenti
Questo lavoro non avrebbe potuto essere realizzato e completato nella sua forma definitiva senza il costante scambio di idee tenutosi negli ultimi sei anni con l’amico e collega Alessandro Mantovani. Sono stati i nostri scambi e le nostre discussioni, senza alcuna concessione, spinti dalla sua acerba lettura, che mi hanno portato a chiarire e ad approfondire – e anche a sfumare e modificare – i miei punti di vista precedenti. Ho qui l’opportunità di esprimere la mia profonda gratitudine a lui, nella speranza che questi scambi, discussioni e letture non lo abbiano ritardato nel suo lavoro.18
Il mio ringraziamento va anche al grande amico e compagno Carlos C., il quale ha seguito il progresso di questo lavoro con grande interesse e infinita pazienza, e i cui commenti, sempre motivanti, mi hanno sollevato molti interrogativi, portandomi a cercare di risolverli.
GUIDA DI LETTURA
Il nostro lavoro segue la cronologia degli avvenimenti in Germania e in Italia negli anni 1914-1923, tenendo conto del contesto internazionale dell’epoca (la prima guerra mondiale, la Rivoluzione russa, la crisi sociale e politica del dopoguerra e la fondazione dell’Internazionale comunista nel 1919).
Il Capitolo I descrive le traiettorie dei partiti socialisti in Italia e in Germania dalla fine dell’Ottocento al 1914, evidenziando il carattere classista ma non rivoluzionario di questi partiti. Questa informazione spiega le ragioni della capitolazione del Partito socialista tedesco nell’agosto 1914 (in occasione del voto dei crediti di guerra), e la attitudine non rivoluzionaria del Partito socialista italiano (con il suo slogan: «Né aderire alla guerra, né sabotarla»).
Il Capitolo II espone
- l’atteggiamento delle varie tendenze del socialismo italiano verso la guerra, dalla velata collusione della corrente riformista con la politica bellica all’opposizione della corrente rivoluzionaria rappresentata principalmente – ma non esclusivamente – da Amadeo Bordiga (corrente che ha poi avuto un ruolo rilevante nella fondazione del PCdI nel gennaio 1921), al disinteresse pacifista di gran parte del Partito socialista dietro il centrismo socialdemocratico dei Lazzari e dei Serrati;
- gli allineamenti internazionali delle prime opposizioni alla guerra nelle Conferenze di Zimmerwald e Kienthal, e la delimitazione intorno ai bolscevichi di quello che sarà uno degli assi fondanti dell’Internazionale comunista, cioè l’obiettivo della rivoluzione proletaria come risultato della guerra imperialista (contro la prospettiva riformista di un ritorno allo status quo prebellico);
- il maturare in Italia di oggettive condizioni rivoluzionarie a seguito delle lotte contro la guerra e della guerra stessa;
- le diverse posizioni prese dalle correnti socialiste di fronte alla Rivoluzione d’Ottobre del 1917; e
- i prolegomeni di una futura scissione del Partito socialista per fondare un partito marxista rivoluzionario.
Il Capitolo III percorre
- l’azione pro imperialista della socialdemocrazia tedesca durante la guerra;
- la maturazione delle oggettive condizioni rivoluzionarie negli anni 1917-1918;
- la nascita della prima ondata della Rivoluzione tedesca nel novembre-dicembre 1918 con la formazione di consigli operai e il rovesciamento della monarchia degli Hohenzollern;
- il ruolo controrivoluzionario svolto dalla Socialdemocrazia alla guida della nuova Repubblica di Weimar;
- la tardiva fondazione del Partito comunista tedesco nel gennaio 1919;
- la mobilitazione del Fronte unico della Socialdemocrazia e i soldati organizzati nel Freikorps per schiacciare nel sangue la resistenza del proletariato rivoluzionario tra gennaio e aprile 1919 (all’epoca della fondazione della Terza Internazionale).
Il Capitolo IV tratta delle lotte rivoluzionarie in Italia durante il cosiddetto Biennio Rosso (1919-1920), in campo sindacale, nelle imprese, nelle mobilitazioni contro il carovita e contro lo status quo agrario, esponendo il ruolo antirivoluzionario del riformismo e del centrismo, e l’incapacità, sia politica che organizzativa, delle tendenze rivoluzionarie minoritarie del socialismo di porsi come alternativa contro il sabotaggio socialdemocratico.
La parte finale di questo capitolo si riferisce alla scissione del Partito Comunista Tedesco (KPD) a seguito dell’espulsione burocratica dell’estrema sinistra «infantile», e alle ripercussioni delle sue posizioni durante il Putsch di Kapp, dando inizio agli scontri di tendenze caratterizzate dalla loro estrema confusione a livello di principi e metodi d’azione, e che saranno in crecendo negli anni successivi tra la corrente maggioritaria centrista del comunismo tedesco e una sinistra «estremista» inconsistente.
Il Capitolo V affronta la questione cruciale che sarà al centro dell’azione della Terza Internazionale nel 1920: la selezione delle forze che ne avrebbero costituito le sezioni nazionali, in un momento in cui l’attrazione delle grandi masse lavoratrici da parte della Rivoluzione russa e del bolscevismo rendeva numericamente significativi i settori del centrismo socialdemocratico pronti ad andare a Canossa per ottenere l'»unzione rivoluzionaria» di Mosca, purché ciò non implicasse una rottura con la propria azione passata o con la democrazia borghese e il riformismo socialdemocratico.
Questo capitolo è incentrato sul II Congresso Internazionale, le cui Risoluzioni e Tesi ne hanno fornito le basi programmatiche e di principio, nonché il «filtro» rappresentato dalle 21 Condizioni di Adesione. La sua parte finale descrive le vicissitudini della fondazione del PCdI da parte di una minoranza scissa dal Partito socialista (che implicava non solo una rottura con il riformismo, ma anche con il centrismo maggioritario), e gli eventi che hanno portato alla fusione del KPD con l’ala maggioritaria «di sinistra» del centrismo socialdemocratico tedesco.
Il Capitolo VI si concentra sui problemi tattici che i partiti internazionali e comunisti di Italia e Germania hanno dovuto affrontare dal 1921 in poi, in una situazione in cui la Social-Democrazia manteneva le sue posizioni maggioritarie nel movimento operaio. Tratta, in primo luogo, delle insufficienze e degli errori di imposizione e di orientamento commessi dal PCdI per far fronte alle convergenti offensive controrivoluzionarie dello Stato democratico e del fascismo, nonché delle ragioni di quelle carenze tipiche della Sinistra comunista (che non erano solo di tattica, ma anche di visione della lotta rivoluzionaria e del rapporto del Partito con le masse). In secondo luogo, dall’ Azione del marzo 1921 e la conseguente mancanza di lucidità tattica della KPD di fronte a un’offensiva del governo di Weimar contro il proletariato della Germania centrale, e la sua ulteriore teorizzazione della teoria dell'»offensiva a tutti i costi» come fondamento della tattica comunista. In terzo luogo, del Terzo Congresso dell’ Internazionale (giugno-luglio 1921), in occasione del quale Lenin e Trotsky dovettero spiegare ai comunisti occidentali le basi della tattica rivoluzionaria, in particolare in una situazione in cui i partiti comunisti avevano un’influenza minoritaria tra le masse. E, in quarto luogo, dell’ inizio delle trattative del Comitato Esecutivo dell’Internazionale (CEIC) per ottenere la fusione del PCdI con il Partito Socialista nel caso in cui quest’ultimo eliminasse la corrente apertamente riformista (trattative che furono decisamente respinte dalla dirigenza del PCdI, dando origine alla cosiddetta «questione italiana», che sarebbe durata fino al 1924).
Il Capitolo VII riguarda
- la svolta politica avviata dal CEIC nel dicembre 1921 con l’adozione della tattica – sostenuta con entusiasmo dalla tendenza maggioritaria dal KPD, e decisamente respinta dalla dirigenza del PCdI, del «fronte unico» (FU) dei partiti comunisti con i dirigenti politici della socialdemocrazia, come tentativo di ottenere – nel contesto di un’offensiva internazionale della borghesia contro le masse lavoratrici – la conquista di un’influenza maggioritaria nel proletariato, arrivando all’estremo di considerare la possibilità che alcuni governi socialdemocratici potessero percorrere un tratto della strada rivoluzionaria e, in tal caso, essere appoggiati dai partiti comunisti;
- le polemiche nell’ambito della tattica internazionale pro o contro il FU promossa dal CEIC;
- e le Tesi sulla tattica approvate dal PCdI nel marzo 1922, in aperta opposizione agli orientamenti dell’Internazionale, Tesi che – contro le offensive borghesi – promuovevano il cosiddetto «fronte unico sindacale».
Il Capitolo VIII tratta
- della guerra di classe in Italia nel 1922, fino al suo climax rappresentato dagli scontri armati in occasione dello Sciopero generale di agosto e dalla sconfitta finale del movimento operaio a opera dell’alleanza tra le forze dello Stato e le bande armate fasciste;
- della capitolazione del centrismo socialdemocratico italiano di fronte all’azione apertamente disfattista del riformismo;
- del fallimento degli orientamenti tattici della dirigenza della CPDI nel contrastare un fronte proletario di lotta contro l’offensiva borghese;
- della conquista fascista del potere; e
- della caratterizzazione della traiettoria storica della Sinistra Comunista Italiana (1914-1922).
Il Capitolo IX espone
- la situazione di crisi politica, sociale ed economica dilagante in Germania nel 1922 come risultato: (a) delle imposizioni e dei risarcimenti bellici richiesti dalle potenze vittoriose, e (b) della politica della borghesia tedesca;
- l’ascesa dei movimenti ultranazionalisti tedeschi;
- lo sviluppo del Quarto Congresso dell’ Internazionale, e in particolare le discussioni sulle Tesi adottate sulla tattica per promuovere «governi dei lavoratori» socialdemocratici o di coalizioni con partecipazione comunista nell’ambito delle istituzioni statali borghesi democratiche, governi che costituirebbero una ipotetica fase di transizione tra la dittatura della borghesia e la dittatura del proletariato, dando così un forte impulso alle deviazioni centriste nel movimento comunista;
- il forte confronto tra l’ECCI e la direzione del Partito italiano sulla «questione italiana» a seguito dell’opposizione di questa ultima a qualsiasi fusione con fazioni del socialismo.
Il Capitolo X tratta di
- la maturazione accelerata delle condizioni rivoluzionarie in Germania nel 1923 a seguito dell’invasione della Ruhr da parte delle forze armate francesi e belghe; l’iperinflazione che ha esacerbato tutti gli antagonismi politici e sociali; le forze statali centrifughe che hanno scosso la Baviera e la Ruhr; la crescita delle tendenze ultranazionaliste; la perdita di influenza della socialdemocrazia a favore del movimento comunista;
- la crisi cronica del KPD tra la maggioranza di destra che aveva incentrato tutta l’attività del Partito sulla ricerca di un’alleanza politica e governativa con la socialdemocrazia «di sinistra», e una sinistra comunista irresponsabile favorevole alla «teoria dell’offensiva» a tutti i costi;
- l’adozione di una politica filonazionalista promossa in Germania dalla lea direzione dell’Internazionale e del KPD;
- le grandi mobilitazioni pre-rivoluzionarie del proletariato tedesco del giugno-agosto 1923;
- la tardiva percezione da parte dei dirigenti bolscevichi dell’esistenza di una situazione oggettivamente rivoluzionaria in Germania;
- l’imposizione da parte del CEIC dell’organizzazione di un’insurrezione operaia a partire dalla fine di agosto 1923;
- l’approccio politico all’insurrezione basato sulla difesa dei governi socialdemocratici con la partecipazione comunista in Sassonia e Turingia; e
- l’inesorabile catena di circostanze che ha portato al crollo di tutto l’approccio politico-insurrezionale della Rivoluzione tedesca, causando il fallimento degli orientamenti tattici del FU e del «Governo Operaio» dell’Internazionale.
Il Capitolo XI espone criticamente le diverse analisi delle cause del fiasco dell’Ottobre 1923, analisi difese dalle tendenze di destra e di sinistra del KPD, dal Presidente dell’Internazionale (Zinoviev), da Trotsky e, infine, dalla Sinistra Comunista Italiana.
Il Capitolo finale di questo lavoro (XII)
- descrive la drammatica situazione organizzativa del PCdI come conseguenza dell’azione repressiva dello Stato;
- dettaglia l’ennesimo fallimento del CEIC nel realizzare la fusione del PC italiano con il Partito Socialista;
- tratta dello sviluppo e dei contenuti del V Congresso della Internazionale (1924), espressione dei sbandamenti politici, tattici e organizzativi del CEIC e dei suoi disperati e nebulosi tentativi – nel contesto delle lotte di tendenza nello stesso Partito bolscevico – di alleviare le disastrose conseguenze del IV Congresso, del fiasco dell’Ottobre 1923 e della confusione in cui erano immerse le sezioni nazionali del Comintern;
- dettaglia e valuta i termini delle polemiche tra Bordiga e il CEIC durante il 5° Congresso; e
- conclude indicando rapidamente le pietre miliari della traiettoria controrivoluzionaria dell’Internazionale stalinizzata degli anni Trenta, che si concluderà con il suo scioglimento formale nel 1943, nel mezzo della guerra mondiale.
Notas
1 Ogni critica politica deve essere necessariamente fatta alla luce di obiettivi e principi programmatici chiaramente stabiliti. La nostra si regge sulle posizioni di partenza espresse dall’Internazionale nei suoi primi tre congressi.
2 Questa cosiddetta «storiografia critica», nutrita di falsità storiche, ha seguito il percorso infame di chi ha aderito allo stalinismo. In Italia, il suo esponente più noto è stato Palmiro Togliatti, segretario generale del Partito italiano dal 1927 [cfr. Togliatti, «Il partito comunista italiano», 1958]. I rappresentanti di questo movimento arrivarono ad accusare i rivoluzionari che avevano guidato la fondazione del PCdI e che lottavano contro la degenerazione stalinista di essere agenti del fascismo e del nazismo.
3 Nella versione più «oggettiva» e accademica di Paolo Spriano [«Storia del Partito comunista italiano – Da Bordiga a Gramsci», Giulio Einaudi editore, 1967] e di Andreina de Clementi [«Amadeo Bordiga», Piccola Biblioteca Einaudi, 1971]. Lo stesso Spriano, storico ufficiale del PCdI dagli anni Cinquanta, è stato membro del suo Comitato Centrale dal 1972.
4 Togliatti fu nominato nel 1944 ministro nel governo del generale Badoglio, e nel 1945 vice primo ministro nel governo del democristiano De Gasperi. Durante la guerra civile spagnola, Togliatti vi partecipò come massimo rappresentante dell’Internazionale Stalinizzata, e quindi ebbe una responsabilità attiva nella repressione del proletariato rivoluzionario spagnolo da parte della democrazia borghese sostenuta dallo stalinismo internazionale.
5 Cf. Giorgio Galli, “Storia del Partito comunista italiano”, 1958, ed. Schwarz; Franco Livorsi, “Amadeo Bordiga”, (Editori Riuniti, 1976) y Claudio Natoli, “La Terza Internazionale e il fascismo”, (Editori Riuniti, 1982). Negli anni Novanta, un’altra serie di autori ha dedicato opere a Bordiga (cf. “Amadeo Bordiga nella storia del comunismo”, Edizioni Scientifiche Italiane, 1999, a cura de Luigi Cortesi, con contributi di Luigi Gerosa, Alexander Höbel e Antonio Ca’Zorzi, tra gli altri). Nel 1996 la Fondazione Amadeo Bordiga ha lanciato la pubblicazione degli Scritti completi di Bordiga del 1911-1926, con una prefazione di Luigi Gerosa. Nel 2014 Corrado Basile e Alesandro Leni hanno pubblicato un lungo lavoro: “Amadeo Bordiga Politico (Dalle lotte proletarie del primo dopoguerra alla fine degli anni Sessanta)”, Edizione colibrì.
6 È il caso dei libri citati da Claudio Natoli e Basile-Leni. Il primo è dedicato alla questione del fascismo. Per quanto riguarda il libro di Basile-Leni, abbiamo valutazioni molto critiche delle affermazioni e delle valutazioni in esso contenute.
7 “Révolution en Allemagne (1917-1923)”, les Éditions de Minuit, 1971.
8 Quando qui ci riferiamo al «comunismo tedesco», facciamo allusione fondamentalmente alle correnti che hanno aderito all’Internazionale comunista. Lo studio dettagliato delle tendenze comuniste che hanno rotto con il Comintern nel 1920-1921 e che erano legate alla KAPD e al «comunismo dei consigli» tedesco non rientra nell’ambito di questo lavoro. Per una presentazione di queste tendenze, si veda Gilles Dauvé & Denis Authier, «La sinistra comunista in Germania 1918-1921» [https://libcom.org/files/Dauve-Authier-Communist%20left%20in%20Germany.A4.pdf].
9 Paul Levi era un dirigente espartakista espulso dall’Internazionale nell’aprile del 1921. Levi doveva aderire alla Socialdemocrazia subito dopo.
10 «Tuttavia, dal 1918 al 1921, Paul Levi era stato l’unico leader comunista non russo la cui intransigenza e penetrazione politica lo aveva reso un potenziale interlocutore in grado di discutere su un piano di parità con i dirigenti russi, e nessuno avrebbe colmato il vuoto creato dalla sua esclusione. Fu l’unico a porre in termini politici il problema del comunismo dopo la vittoriosa rivoluzione russa: come innestare il vivace trapianto dell’impulso del 1917 e il potere dei consigli sul vecchio albero con radici profonde e solide del movimento operaio occidentale. Dopo di lui, non ci sarà più davanti ai russi altro che plagiatori o pappagalli, come lui stesso ha detto, solo uomini che dubitano e restano in silenzio, rassegnati in anticipo a commettere errori. Come organismo vivente, il comunismo del 1918-1921 aveva molte sfumature, e Levi incarnava una colorazione tedesca. Voler contrapporre Levi al comunismo in questo periodo (…) significa togliere a Paul Levi la sua vera dimensione storica: quella di un’opportunità perduta» [Ibidem, p. 845]. Broué arriverà al punto di esporre l’argomentazione di Levi sul fiasco della Rivoluzione tedesca senza sollevare obiezioni [Ibidem, pp.860-862].
11 Ibidem, p.855.
12 Con queste dichiarazioni, Broué fece proprie le critiche di Paul Levi all’Internazionale e al Partito tedesco.
13 D’altra parte, il libro di Chris Harman sulla Rivoluzione tedesca è un interessante riassunto del libro di Broué. Ma la sua «spiegazione» del fallimento del comunismo tedesco è essenzialmente la stessa del suo mentore. [«La révolution allemande (1918-1923)», Éditions La Fabrique, 2015, pp.368-369.]
14 Ibidem, p.863 e pp.826-832. 26 anni dopo, nella sua enciclopedica «Histoire de l’Internationale Communiste (1919-1943)» (Fayard, 1997, pp.344-345), per spiegare il fiasco dell’ottobre 1923 Broué ha voluto «mettere da parte la pista delle carenze personali«, per concentrarsi su una serie di argomenti che si possono riassumere in una cattiva valutazione della situazione da parte dei comunisti, il che equivale a ignorare sia l’approccio politico della insurrezione pianificata dall’Internazionale, sia la propaganda e l’agitazione del partito tedesco durante almeno i due anni precedenti il fallito tentativo insurrezionale.
15 Cfr. la sua Introduzione alla raccolta di scritti di Victor Serge: «Germania 1923 (La Mancata Rivoluzione)», ed. Graphos, 2003, e «Il «fiasco» del 1923 in Germania».
16 «Le vere cause politiche del «fiasco» in Germania devono essere ricercate – e lo abbiamo anticipato in più occasioni – nei limiti della linea seguita dai lavoratori della KPD e dalla stessa Internazionale. (…) È sul terreno [del riconoscimento di una questione nazionale sollevata in Germania dall’occupazione francese della Ruhr] che i comunisti hanno potuto passare sopra la «grande coalizione» [composta da partiti socialdemocratici e borghesi], della destra e dell’estrema destra, dell’esercito e della polizia, dando all’obiettivo della conquista del potere una dimensione adeguata alla partecipazione della maggioranza della popolazione, cioè, oltre al proletariato, delle classi medie«. (Basile dixit)
17 Vol. 2, 1972 – Vol. 3 , 1986 – Vol. 4, 1997 – Vol. 5, 2017. Edizioni Il Programma Comunista, Milano.
18 È chiaro che come autore sono l’unico responsabile delle opinioni e delle affermazioni formulate in questo libro.