
Alessandro Mantovani, Luc Thibault, 23 abril 2022
La morte improvvisa di Michele Michelino ha sollevato sincero cordoglio nei più diversi ambienti della sinistra anticapitalista.
Perché questo sentimento quasi unanime? Ha esso un significato politico che va al di là della figuradel militante scomparso?
Certo Michele era uomo dal carisma fuori del comune, un combattente straordinariamente intelligente, generoso e tenace, che sapeva organizzare, che sapeva pensare in grande. Un vero capo proletario, di quelli che un giorno dovranno fare la storia. Ed esprimeva movimenti concreti, reali. Ma questo non basta a spiegare perché compagni delle più diverse tendenze politiche, compagni che spesso crudamente polemizzano tra di loro, si ritrovino insieme a commemorarlo.
Michele era –come altri hanno già detto– uno che sapeva unire, mettere davanti a tutto non l’interesse di una parrocchietta politica o sindacale, bensì quello della classe nel suo insieme.
Venuto dalla tradizione stalinista di Sesto San Giovanni, egli aveva intrapreso la strada che porta a superarla nella lotta. Alieno da quel pernicioso settarismo che ancora imperversa tra le cosiddette avanguardie rivoluzionarie, ripiegate ognuna sul proprio orticello e sul proprio passato, seppe essere il miglior compagno di strada di chiunque –internazionalista o libertario che fosse– si schierasse fattivamente e non a chiacchiere per la difesa e l’emancipazione della classe proletaria.
Ma nemmeno queste caratteristiche straordinarie del militante possono da sole spiegare il prestigio di cui Michelino godeva nel litigioso ambito della sinistra estrema.
Che cosa allora? Qualcosa che non appartiene a lui solo, ma che scaturisce dall’epoca singolare che tutti coloro che si richiamano onestamente all’emancipazione umana dal capitale stanno vivendo: la serie ininterrotta di sconfitte che perdura dal primo dopoguerra, frammentando e disgregando le organizzazioni e tradizioni politiche che provengono dal passato, le obbliga tutte a riconsiderare, rivedere, criticare, il proprio bagaglio politico; le costringe a tornare alle origini della teoria della rivoluzione, a guardare con occhi nuovi gli inediti fenomeni del capitalismo odierno, ed a cercare come linfa vitale il contatto con i nuovi strati proletari che la “globalizzazione” ha partorito, con i nuovi movimenti territoriali, e non solo più di fabbrica, che da questa realtà sorgono.
Lo stalinismo ha rappresentato una sanguinosa controrivoluzione anti proletaria ed anticomunista, ma quanti provengono da quella tradizione non sfuggono oggi alla necessità di fare i conti col passato e col presente. Michele Michelino andava in tale direzione, rappresentando quel bisogno di profondo riesame e di superare gli steccati che, ancora per lo più inconsciamente, serpeggia tra le file dei militanti rivoluzionari.
Il fatto che oggi compagni di tradizione diversa sentano, insieme, bruciare la sua mancanza, è l’espressione di questo bisogno.